31 dicembre 2015

Prjaniki e Sbiten - Back to the U.S.S.R con l'Abbecedario Mondiale


Il viaggio dell'Abbecedario Culinario Mondiale non si arresta neanche durante le festività più importanti dell'anno, ed è già arrivato in Russia pochi giorni prima di Natale, dove saremo ospiti di Tamara fino al 10 gennaio.




La grande Madre Russia, terra sconfinata ai confini orientali estremi dell'Europa, patria delle incredibili Matrioške, il caratteristico insieme di bambole che si compone di pezzi di diverse dimensioni realizzati in legno, ognuno dei quali è inseribile in uno di formato più grande, forse il souvenir più popolare di questa nazione!
E non poteva sovvenirmi un'altra associazione di idee più calzante: quante volte abbiamo cantato la famosa canzone dei mitici Beatles dedicata alla vecchiaRepubblca Sovietica? Godiamoci allora queste immagini d'annata del favoloso gruppo con la canzone in sottofondo.
E poi, magari una cosa più attuale, del mitico duo veronese JazzyFunk che sta spopolando nei paesi dell'Europa Orientale, di ritorno dal secondo appuntamento natalizio al Soul Kitchen Bar di San Pietroburgo, dopo quello della primavera scorsa.


prjaniki e sbiten



Rispolvero per l'occasione un paio di ricette vintage avute da Giulia, che gentilmente mi venne in aiuto a suo tempo, dandomi anche tutte le informazioni a riguardo.


Prjaniki

Prima di conoscere lo zucchero nel 1600, i dolci in Russia venivano preparati col miele e con frutti di bosco, fragoline e lamponi in particolare, che, mescolati alla farina e alle uova, diedero vita al prodotto dolciario più antico e tradizionale del paese: i prjaniki. Sono dolci profumati e speziati, coperti di glassa, grandi o piccoli - oggi se ne trovano in commercio di tutti tipi, ma una volta erano solo medovye, di miele.
Nonostante il primo riferimento ai prjaniki di Tula (la città più famosa della Russia nella realizzazine dei prjaniki più belli e buoni del paese) sia datato 1685, i prjaniki stessi esistono fin dai tempi dell'antichità. Pare che addirittura esistessero ancor prima del pane lievitato. Gli specializzati maestri falegnami ritagliavano nei pezzi di legno, di betulla o di pero vecchi circa 30 anni, le sagome concave decorate all'interno che servivano come stampo per creare il disegno in rilievo sui prjaniki. Questi dolci preziosi e profumati venivano regalati in diverse occasioni: per celebrare il matrimonio, per onorare una persona importante, per dimostrare il proprio amore a qualcuno. Molti eventi particolari erano segnati dalla creazione dei prjaniki con i nuovi disegni. Tutti concordano che il nome di questo dolce, prjanik, derivi dalla parola prjanosti, ossia, spezie. Ma esiste una teoria secondo la quale non c'è niente di più sbagliato, perché le spezie arrivarono in Europa solo ai tempi delle Crociate e costavano una fortuna, invece il dolce era decisamente popolare e molto consumato (il popolo non si sarebbe mai potuto permettere il lusso di speziarlo). Secondo i portatori di questa teoria, l'etimologia esatta della parola è incerta, l'unica cosa che si sa è che gli sposini novelli il giorno dopo del matrimonio portavano il prjanik ai genitori di lei, e solo a quelli di lei! Il che induce a pensare che la tradizione risale ai tempi del matriarcato! La teoria è affascinante, ma ci sono troppe incognite. In realtà i primi prjaniki, creati già nel IX secolo, si chiamavano pan di miele ed erano una mescola di farina di segale, il miele e il succo di frutti di bosco. Solo in seguito, quando nel XII - XIII secolo in Russia arrivarono le primissime spezie dall'India e dal Medio Oriente, il dolce cambiò nome a favore di quello attuale che deriva dalla definizione della parola pepe in russo antico, una delle prime spezie conosciute.
Si può dire che l'inglese Gingerbread o il tedesco Lebkuchen siano una sorta di analogo dei prjaniki.

prjaniki


Ingredienti:

3 tazze di farina
¾ tazza di zucchero
½ tazza di miele
¼ tazza di acqua
50 g di burro morbido
2 uova
2 cucchiaini di lievito per dolci
1 cucchiaino di spezie in polvere 
(cannella, cardamomo, chiodi di garofano, noce moscata, all spice)
2 cucchiaini di caramello scuro o di cacao 
(i prjaniki di solito sono scuri)
1 tuorlo sbattuto

per la glassa:
1 tazza di zucchero
½ tazza di acqua


Versare in un pentolino l'acqua con lo zucchero e il miele, mettere sul fuoco basso per sciogliere gli ingredienti senza far bollire. Se per la colorazione avete scelto il caramello, aggiungerlo subito nel pentolino; il cacao, invece, va con la farina.
Aggiungere nel liquido caldo metà farina setacciata e le spezie, mescolare energicamente per sciogliere i grumi. Poi aggiungere il burro morbido, mescolare ancora a raffreddare un po'. Aggiungere le uova all'impasto, setacciare la farina rimanente con il lievito e lavorare la pasta per renderla liscia. Non deve essere nè troppo dura nè troppo morbida, per riuscire a stenderla senza troppe difficoltà. Spolverare di farina il piano di lavoro e mettervi l'impasto. Per fare i piccoli prjaniki, basta staccare pezzetti di 20/30g, lavorarli con le mani per ottenere palline e sistemarle sulla teglia coperta di carta forno. Per preparare i prjaniki farciti, staccare dall'impasto pezzi più grandi (70/80g), stenderli a rettangoli uguali. Spalmare di marmellata molto densa una metà, ricoprire, sigillare con le dita e ritagliare con la rotella. Pennellare con il tuorlo sbattuto bene con qualche goccia di acqua e infornare a 200° per 10/15 minuti. Raffreddare sulla griglia.
Per la glassa: bollire acqua e zucchero fino a quando lo sciroppo non si addensa. (attenzione a non farlo caramellare!). Spennellare i prjaniki con lo sciroppo caldo e lasciarli asciugare sulla griglia.


Sbiten


Le bevande russe a base di miele sono conosciute fin dai tempi più antichi. Api e miele hanno giocato un grande ruolo nei Miti russi, nelle leggende e nelle storie fiabesche. Sin dal Medio Evo, la Russia è stata grande approvigionatrice in quasi tutta Europa del suo miele prezioso. A quel tempo, lo Sbiten era bevuto al posto del tè, ma anche come bevanda da taverna. Oggi è bevuto principalmente nei lunghi e freddi giorni invernali.

Ingredienti:

120 g di miele
1 1/2 litro di acqua
80 g di zucchero
3 chiodi di garofano
5 grani di pepe nero
un pizzico di zenzero
1 cucchiano da tè di cannella
2 cucchiani di menta secca


Portare il miele e 1/4 di litro di acqua a bollore, poi filtrare bene. Portare anche lo zucchero con 1/4 di litro di acqua a bollore, unirlo al miele sciolto e filtrato e sobbollire a fiamma bassa finchè l'acqua si è ridotta quasi del tutto. Bollire le spezie per 15 minuti in un litro di acqua (col coperchio), lasciare insaporire ancora 10 minuti e poi filtrare da un colino molto fitto (io ho usato un filtro in carta per caffè americano), unire al mix di miele e zucchero, riscaldare brevemente e servire molto caldo.


Senza titolo


E allora in questo ultimo pomeriggio dell'anno, accendiamo ancora una volta una candela di buonaugurio per un 2016 illuminato e illuminante, di serenità e tanto bene, per noi, i nostri cari e il mondo intero, e godiamoci una tazza fumante di questa particolare bevanda speziata russa.

29 novembre 2015

Brik all'uovo tunisino


E' bastata una chiacchierata al telefono con una cara amica per farmi decidere a provare questa ricetta tunisina. Pochi ingredienti, velocità di esecuzione, una confezione di pasta brik comprata insieme proprio un paio di giorni prima: e già visualizzavo i brik che la mia amica aveva gustato dalle mani di Madame Houda, caldi e fragranti, mangiati seguendo i preziosi consigli per non impiastricciarsi di uovo le mani.
Il Ramadan è il mese in cui i musulmani adulti si devono astenere da mangiare, bere e fumare dall'alba fino al tramonto. Il digiuno è infatti uno dei cinque pilastri che la religione islamica pretende dai suoi fedeli. La tradizione vuole anche che tutta la famiglia si riunisca poi alla sera, quando è permesso rompere il digiuno, per banchettare insieme: spesso in Tunisia la consuetudine gastronomica più popolare vede servire in tavola una ciotola di chorba e un piatto di brik.
Il nome chorba si riferisce a vari tipi di stufato o zuppa. Gli ingredienti principali di questo tipico antipasto sono una manciata di orzo o di frumento, olio d'oliva, concentrato di pomodoro, cipolla e aglio tritati, il tutto aromatizzato con un mix sapiente di spezie. Prezzemolo tritato, ceci, e gocce di succo di limone possono essere aggiunti a piacere.
Il Brik è solitamente la seconda portata della cena del Ramadan, ed è molto più facile e veloce da preparare, soprattutto dalle abili mani tunisine. E' una specie di involtino fritto, costituito da un disco di pasta sottile, fatta a mano e circolare, riempito con ingredienti diversi a seconda delle preferenze del cuoco. La versione più popolare è il brik all'uovo, fatto con un mix di prezzemolo e tonno e un uovo intero, piegato a triangolo. Si possono aggiungere dei capperi e del formaggio. Si serve caldo con qualche goccia di limone spremuta sopra.
Si frigge velocemente e il tuorlo dell'uovo deve rimanere morbido e colante. Bisogna essere abili e pratici nel mangiarlo, per evitare di finire con le mani sporche di rosso d'uovo. Si dovrebbe raddentare un angolo del triangolo e poi risucchiare l'uovo morbido.
L'abilità nel saper mangiare un brik può anche giocare un ruolo importante nel determinare il proprio futuro. Secondo una tradizione tunisina, infatti, se lo sposo riesce a mangiare il brik preparato dalla suocera senza versare neanche una goccia del tuorlo, può degnamente sposare la sposa.
Inoltre un giro di parole scherzoso dice che il brick (che in inglese vuol dire mattone) si trasforma davvero in un mattone se la pasta brik usata (in lingua originale chiamata malsouka) non è abbastanza sottile.

Avrei voluto preparare anche la pasta, ma non ne ho avuto il tempo: l'ho presa pronta nel negozio molto ben fornito di una signora marocchina.
Resy ci dà la sua ricetta, ed in rete si trovano svariati video a riguardo, anche con la presenza dell'uovo nella pastella: ma quello che mi ha più colpito è quello di questa signora, completamente in arabo (quindi da seguire solo visivamente), che stende la pasta sulla pentola calda con la mano, usando una specie di fornello da campo, ma che probabilmente è quello personale di casa.

Il ripieno si può preparare in anticipo e conservare in frigo in un contenitore sigillato con pellicola per qualche ora. Meglio usare le uova a temperatura ambiente.
Si possono preparare i fogli di brik ripiegati a triangolo, per essere poi svelti a farcirli col ripieno e friggerli immediatamente, uno per volta, perchè è meglio non lasciare l'uovo fresco a contatto con la pasta a lungo, altrimenti la ammorbidisce troppo e poi fatica a diventare croccante in frittura.
Questo video di Amina è molto esplicativo nei vari passaggi della preparazione di un brik.


brik tunisino


Ingredienti:

cipollotti tritati
tonno sott'olio, ben scolato
abbondante prezzemolo tritato
qualche cappero
un uovo fresco per brik
un foglio di pasta brik per ogni involtino
olio extravergine di oliva
sale/pepe
spezie a piacere
olio di arachide per friggere


brik tunisino


Soffriggere i cipollotti in una padella con un filo di olio, aggiungendo un goccio di acqua per ammorbidirli. Unire il tonno e amalgamare a fiamma vivace: il tonno non deve cuocere, perchè già cotto, ma solo asciugare dal liquido in eccesso. Unire anche il prezzemolo e qualche cappero, salare e pepare. Aggiungere un pizzico di paprika o cumino o coriandolo a piacere. Far raffreddare il composto.


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Riscaldare l'olio di arachide in una padella.
Prendere un foglio di pasta brik, ripiegare i bordi verso l'interno in modo da ottenere un quadrato: disporre un paio di cucchiai di ripieno sui lati destri del quadrato, formando quasi una mezza luna. Versare un uovo nell'incavo della mezzaluna, condire l'uovo con sale e pepe.
Ripiegare i lati opposti della pasta formando un triangolo e far scivolare con delicatezza nell'olio bollente. Con un mestolo forato picchiettare nei bordi per sigillare il triangolo e contemporaneamente versare dell'olio bollente sulla parte bombata del triangolo. Quando la parte sottostante del brik è bella dorata, delicatamente girare l'involtino e far dorare anche l'altra parte.
Mettere a scolare su carta assorbente. Servire caldo con qualche goccia di limone spremuta sopra e un'insalata fresca a parte.


brik tunisino



Questa ricetta partecipa all'Abbecedario Culinario Mondiale 
per la tappa in Tunisia ospitata da Resy. 

8 novembre 2015

Bula Talei, drink esotico delle isole Fiji


Bula Talei significa Benvenuto amico!
Fino a poco tempo fa, in queste isole remote, si usava offrire come drink di benvenuto una noce di cocco piena di Kawa.

La Kawa Kawa o Kava Kava (Piper methysticum) è una pianta è originaria della Polinesia occidentale (Tonga, Samoa, Fiji, Vanuatu) fino a Tahiti. Gli indigeni ne traggono una polpa che prima masticano (la saliva provoca un'emulsione della resina) e poi mettono in recipienti che riempiono di acqua calda e lasciano in infusione: questa polpa così diluita e preparata viene consumata durante le cerimonie religiose. Esiste la descrizione di tale cerimoniale da parte di J. Cook (1785). La tradizione samoana vuole che tale ricetta sia stata un dono di Tagaloa Ui, semidio, figlio del sole.
Gli indigeni preparavano con la kawa kawa una bevanda rinfrescante, rilassante, sedativa-analgesica, capace nel contempo di far sopportare la stanchezza e la fatica.
La storia leggenda completa qui.

Si racconta che anche la regina d'Inghilterra Elisabetta II abbia assaggiato questa bevanda, senza distogliere il suo gentil sorriso di circostanza dal viso.
Questa bevanda inebriante estratta dalle radici della pianta del pepe è ancora consumata dagli isolani stessi e riservata alle cerimonie odierne.
Con il sempre più crescente commercio turistico, anche le bevande delle Fiji si sono dovute però adattare ai gusti degli ospiti. Tuttavia, come vuole la tradizione, un long drink non è mai servito senza fiori esotici.
Gelsomino, gardenie o fiori di frangipane sono i più popolari. Se piace questa decorazione, basterà ricordare di non mettere i fiori direttamente nella bevanda: sono invece sistemati su una fetta di ananas o di arancia, in modo che non ne vengano a diretto.
Solitamente il Bula Talei è riservato per il tardo pomeriggio o come dopo cena.



bula talei


Dal libro Drinks di Laura Conti.


Per ogni bicchiere:

ghiaccio tritato
4 cl (3 cucchiai) di rum
4 cl (3 cucchiai) di succo del frutto della passione
1 cl (2 cucchiaini) di succo di lime
1 cl (2 cucchiaini) di sciroppo di zucchero
ghiaccio a cubetti
per guarnire: una fetta di arancia e un fiore



bula talei


Riempire lo shaker con il ghiaccio tritato, aggiungere il rum, i succhi di frutta e lo sciroppo di zucchero. Shakerare bene e filtrare in un tumbler riempito di un terzo di cubetti di ghiaccio.
Guarnire con la fetta di arancia e il fiore e servire.


bula talei



Questa ricetta partecipa all'Abbecedario Culinario Mondiale 
per la tappa delle isole Fiji ospitata da Silvia.

31 ottobre 2015

Fish&Chips Mediterraneo


Dalla collaborazione dell'Associazione Italiana Food Blogger con il Consorzio Pecorino Toscano Dop ha preso il via lo scorso settembre un interessante blog tour in Maremma, che ha visto protagonisti alcuni soci nei luoghi di produzione e lavorazione di questo formaggio.
Giusto il tempo di rientrare nei propri confini, che parte un avvincente challenge, Mai dire Mai, ovvero inconsueti e curiosi abbinamenti per il più tipico dei formaggi toscani.




24 blogger sfidano 12 ingredienti insoliti: mango, gamberi, uva, piccione, funghi, rapa rossa, cacao, cozze, curry, caffè, coniglio e zucchero. L'abbinamento è a sorpresa, e non interscambiabile, e per certi versi lascia alcuni stupefatti, la Dea Bendata pare abbia voluto divertirsi con gli accoppiamenti.
Sulla pagina ufficiale di FB le proposte finora presentate dai partecipanti alla sfida.




L'ingrediente sorteggiato per me e la mia compagna di avventura Elena sono state le cozze. Lei è stata più diligente e ha presentato anzitempo qui la sua proposta golosa.
Io non mi smentisco, come al solito, e arrivo giusto in tempo alla quasi conclusione della sfida.

Cucino regolarmente questi molluschi, piacciono a tutti e in occasione di pranzi o feste sono anche molto scenografici e conviviali.
Ma non ne mangio per via di quella storiella che mi hanno sempre raccontato da piccola e che mi ha praticamente bloccato già in tenera età.
Le cozze, infatti, vengono anche chiamate spazzini del mare, perchè, filtrando quasi 50 litri di acqua di mare in 12 ore, ne trattenengono ogni impurità, dalle sostanze viventi per nutrirsi a quelle nocive, come i metalli pesanti e i batteri. Questi ultimi non sono ritenuti pericolosi perchè muoiono con la cottura dei molluschi, ma i metalli pesanti restano. Oggi la maggior parte di questi mitili proviene da allevamenti certificati, che devono indicare in etichetta il luogo di coltura e quindi garantire la pesca in acque idonee. Od eventualmente dichiarare il processo di stabilizzazione (purificazione) a cui sono stati sottoposti per renderli affidabili.
Una volta acquistate in una pescheria di fiducia, si possono conservare 2 o 3 giorni in frigorifero nella loro rete e con il loro liquido racchiuso nella conchiglia, in una bacinella coperta con un canovaccio umido, ma non in acqua, perchè morirebbero presto, consumando tutto l'ossigeno presente in poco tempo.
In commercio si trovano cozze già raschiate da ogni impurità sul guscio. Meglio comunque lavarle al momento dell'utilizzo, si possono anche lasciare in ammollo un'oretta in acqua leggermente salata. Quindi controllarle una per una e togliere il bisso, il filamento che esce dal guscio: ora le cozze sono pronte per essere cucinate.
Anche le cozze seguono le antiche credenze popolari dei pescatori: andrebbero consumate nei mesi senza la erre, perchè sarebbero più gustose e saporite. Non a caso il periodo migliore per gustarle è proprio la primavera e l'estate, quando sono nel momento della riproduzione e quindi più grasse e ricche di proteine.

Ero partita dall'idea di un tortino, mai realizzato e che ben presto si è tramutato in gnocchi tricolore, gustati ed apprezzati, ma non così avvincenti. Si mettono alla prova anche dei tortelli, ma mi sembrava di approfittare troppo di un consiglio culinario autorevole.
E nel mentre della prova ecco che mi balena l'idea sfiziosa del fish&chips.
Amo le contaminazioni, forse non essendo io una purosangue e non avendo un singolo territorio di appartenenza. E nelle nostre scorribande londinesi (ho un figlio che vive là) fish&chips è un must, quasi all'ordine del giorno.
Amo le spezie, le erbe aromatiche, gli aromi naturali: la via delle Indie un giorno (spero non troppo lontano) mi porterà a raggiungere quei luoghi profumati, colmi di fascino coloniale di altri tempi.
Adoro friggere: quello scricchiolio e crepitio nell'olio bollente è la più bella sinfonia culinaria che si possa sentire! Anche l'ingrediente più semplice e povero, una volta fritto assume un'altra personalità, quasi regale, una sorta di vestito a festa. Non a caso si dice che fritta è buona anche una suola da scarpe :-). E non importa l'odore di fritto (qualcuno osa chiamarlo puzzo, a torto) che produce, a cui si può ovviare con piccole astuzie: una goccia di olio 31 nell'olio di frittura, una Lampe Berger accesa, una protezione per i capelli (basta una cuffia monouso da doccia), un camice al posto del grembiule per proteggere i vestiti. E nella bella stagione, ci si può attrezzare all'aperto: sul balcone, in terrazza, in giardino, con il grande rischio, però, di avere poi la fila dei vicini fuori dalla porta che vogliono partecipare all'assaggio!

Tre tipi di patate, dai colori invitanti e sgargianti, anche se una non lo è davvero: la batata, o patata americana (qui nella versione arancione, meno comune da noi, ma ora più facilmente rintracciabile con l'accrescere dei negozi e dei mercati etnici) infatti appartiene ad un'altra famiglia botanica, le Convolvulaceae (quella delle belle campanelle blu rampicanti, per intenderci), e non alla famiglia delle Solanaceae, a cui fanno capo patate e pomodori.

Una mousse di pecorino, cremosa e delicatamente saporita, come intingolo goloso di accompagnamento, da degustare a temperatura ambiente o fresca, a piacere.

E voilà, l'aperitivo è servito: brindiamo alla sfida più intrigante e sorprendente e con i miei personali vivissimi complimenti a tutti i partecipanti ... vinca il migliore!


fish&chips mediterraneo



Ingredienti:

cozze
patata vitelotte
patata a buccia rossa
batata a polpa arancione
farina
 pane grattugiato
sesamo bianco e/o sesamo nero 
olio di semi di arachide
uovo sbattuto
sale 

per la spuma al pecorino:
50 g di pecorino toscano dop grattugiato
50 g di pecorino toscano dop stagionato grattugiato
350 g di panna fresca
timo fresco

Mousse di pecorino: scaldare la panna, aggiungere un paio di rametti di timo e lasciare in infusione 30/40 minuti. Togliere il timo dalla panna, portare a bollore e aggiungere il pecorino: mescolare con delicatezza finchè ben amalgamato. Passare al setaccio. Mettere in frigo a rassodare.

Patate: lavare bene ogni tubero, strofinando la buccia con una paglietta per levare ogni residuo di terra e/o ogni eventuale imperfezione. Asciugarle ed affettarle fini (senza sbucciarle) con una mandolina, disponendole su uno strofinaccio pulito. Tamponare con carta da cucina.

Cozze: non vale la pena aprire le cozze da crude, è un lavoro più faticoso e lungo. Meglio metterle in una padella capiente, dopo averle comunque lavate e passate una per una per eliminare ogni possibile residuo di bisso, sul fuoco a fiamma vivace e con coperchio. In un minuto o due i molluschi si apriranno. Recuperare le cozze che si toglieranno dalla valve con grande facilità: quelle che non si sono aperte si scartano.
Tamponare i molluschi con carta da cucina, infarinare e setacciare per eliminare ogni eccedenza di farina, passare nell'uovo sbattuto e poi nel pangrattato. Questo può essere semplice o mescolato con sesamo bianco e/o nero.
Si possono preparare impanate in anticipo, conservandole in frigo su un piatto spolverato di pangrattato e coperte da un foglio di alluminio.

Frittura: preparare sul fuoco due padelle, una più grande per le patate, con abbondante olio di semi di arachide ciascuna. Portare l'olio a temperatura, 170/180°, e friggere le patate, prima quelle bianche, poi le arancioni ed infine le viola, in pochi minuti saranno pronte. Scolare su carta assorbente, salare solo al momento di servire. Friggere anche le cozze e scolare su carta assorbente. Non salare.


Servire il fish&chips con la mousse di pecorino e ... in alto i calici!

fish&chips mediterraneo


Varianti: la mousse di pecorino si può aromatizzare con l'erba aromatica preferita, in estate si potrebbe osare con della mentuccia ed un pizzico di buccia di limone o lime grattugiata. Oppure optare per una variante più esotica, aggiungendo un pizzico di curcuma e curry, donando anche un colore dorato.
Valgono le stesse opzioni anche per le cozze, se si preferisce degustare la mousse di pecorino al naturale: il pangrattato si può aromatizzare a piacere, con un trito di aromatiche o con la spezia che più aggrada. I semi di sesamo possono essere sostitui con quelli saporiti e cipollosi di nigella sativa (la trovo da Tiger).


fish&chips mediterraneo


#maidiremai #aifb #pecorinotoscanodop

27 ottobre 2015

French Mais con chantilly alla ricotta e frutti di bosco


La polenta è un piatto antichissimo di origine prettamente italiana a base di farina di cereali. Conosciuta in quasi tutte le regioni del nostro paese nelle sue molteplici varianti, nel passato è stata l'alimento base di tutta la zona settentrionale del nostro paese.
Inizialmente si faceva con farro e segale, miglio o sorgo frantumato, poi anche con grano saraceno, rimasto presente nella polenta taragna Valtellinese.
Dopo la scoperta delle Americhe, arriva in Europa il mais, volgarmente chiamato granoturco, anche se con la Turchia non ha proprio niente a che fare; ma un tempo, si definiva turco tutto ciò che arrivava da lontano, portando con sè il fascino di luoghi esotici e sconosciuti.
E la polenta di mais entra prepotentemente nella dieta italiana, soprattutto al Nord e nella fascia Alpina, diventando ben presto la base dell'alimentazione della gente comune, sia di campagna che urbana.
Polenta e latte ha rappresentato il pasto serale per generazioni di famiglie, e non solo montanare, soprattutto in tempi bellici o di ristrettezze economiche.
Ancora, un modo di dire propiamente veneto: poenta e giasso, quasi a rimarcare l'importanza primaria della polenta come sostentamento alimentare.
Nelle cucine d'altri tempi non mancava mai il paiolo di rame sul fuoco, dove si lasciava cuocere a lungo questo impasto dorato, rimestandolo ogni tanto con un lungo bastone di legno di nocciolo, chiamato cannella. Non c'è quasi pericolo a stracuocere la polenta, anzi, spesso la si lascia un po' più a lungo sul fornello per formare sul fondo del paiolo quella bella crosta croccante che tanto piace a tutti.
E non c'è limite alla fantasia culinaria regionale per trovare il giusto accompagnamento a questo oro fumante: spezzatino, salsicce, cacciagione, formaggi, funghi, seppioline, ciccioli, verdure, ortaggi.
E la farina di mais ben si presta anche per le preparazioni dolci: i morbidi Zaeti e la più friabile Sbrisolona ne sono un goloso esempio.
Nel basso Veneto sconfinando a Venezia e Treviso la polenta diventa bianca, usando la farina del mais biancoperla.


Questo French Mais, ispirato al più tradizionale pain perdu francese, evolutosi in French Toast in terra americana, potrà diventare protagonista della colazione di un giorno di festa, quando si ha più tempo e tranquillità di stare a tavola. Recupera una polenta avanzata dal giorno prima, frutti di bosco della vallata ampezzana e ricotta di malga.



french mais con chantilly ricotta e frutti di bosco


 
Per  4 persone:

8 fette di polenta, spessore 1 cm. *
1 uovo medio
60 g di latte o panna fresca liquida
burro
olio extravergine di oliva
300 g di frutti di bosco a piacere
2 cucchiai di zucchero di canna
mezzo limone spremuto
mezzo bicchiere di acqua
buccia di limone grattugiata
100/150 g di ricotta fresca
300 ml di panna fresca
i semi di mezza bacca di vaniglia
un cucchiaio di zucchero a velo, facoltativo
 


* per la polenta, da fare il giorno prima: portare a bollore in una casseruola antiaderente dai bordi alti 1 litro di acqua. Aggiungere un cucchiaino di sale grosso e un goccio di olio. Versare lentamente 250 g di farina di mais bramata fine mescolando con una frusta perchè non si formino grumi. Quando inizia ad ispessire dare una bella mescolata col mestolo di legno, mettere il coperchio (meglio se trasparente, così la polenta resterà a vista facilmente), abbassare la fiamma e lasciare sobollire la polenta per circa un'ora. Ogni tanto dare una controllata e una mescolata. Se asciuga troppo si può aggingere un mestolo di acqua calda, se troppo morbida togliere il coperchio. Quando pronta, rovesciare sul tagliere di legno. Se si preferisce avere una forma più regolare per poi tagliarla a fette della stessa dimensione, inumidire uno stampo in vetro o ceramica per alimenti, versare la polenta e coprire con un telo. Quando fredda, riporre in frigorifero. Al momento dell'utilizzo rovesciare la polenta su un tagliere.


french mais con chantilly ricotta e frutti di bosco



Coulis di frutti di bosco: in un pentolino mettere 2/3 dei frutti di bosco, il succo di limone, i 2 cucchiai di zucchero, mezzo bicchiere di acqua, una grattata di buccia di limone e cuocere a fiamma vivace per pochi minuti, finchè tutta l'acqua sarà evaporata e si sarà formata quasi una marmellata. Fare raffreddare. Si può preparare in anticipo e conservare in frigo.

Chantilly: setacciare la ricotta in una ciotola, aggiungere i semi di vaniglia ed unire delicatamente la panna semi-montata, poca alla volta per non smontare il composto.

French Mais: in una ciotola sbattere bene l'uovo con il latte. Nel frattempo sciogliere un pezzo di burro in una padella con un goccio di olio. Immergere una fetta per volta nel composto e trasferirla in padella. Cuocere qualche minuto da entrambi i lati, finchè si forma una crosticina dorata ai bordi.
Sistemare due fette su ogni piatto, versare sopra un paio di cucchiai di coulis, aggiungere lateralmente un paio di quenelle di chantilly e completare con qualche frutto fresco.

Per un gusto più fresco, si possono sostituire i semi di vaniglia della chantilly con semi di cardamomo finemente tritati.

E' questa la ricetta che ho presentato a fine agosto a Cortina, all'Hotel Cristallo, in occasione della Degustazione a spreco zero, come piccolo dessert dopo aver gustato la Panada di Anna Maria, i Caniscioni di Greta e i Casunzei di patate allo speck e formaggio di Giulia



foto di Giulia Robert - Alterkitchen


Tutte le ricette sono nate dal recupero del menu della Cena di Note della sera precedente, ispirato alla Grande Guerra e curato dalla Delegazione Cortinese dell'Accademia Italiana della Cucina, prediligendo prodotti tipici locali e tradizionali consuetudini riportate spesso in libri storici del tempo.
Prima di cena, il concerto della soprano Silvia Regazzo, che ha spaziato tra gli spartiti di svariati musicisti dei paesi coinvolti nella Grande Guerra: note struggenti nel ricordo di chi ha dato, non importa per quale bandiera, e di chi ha amato, seppur per poco, seppur nel dolore.

Prima del cooking show targato Aifb, un incontro dibattito con il Sottosegretario all’Ambiente Barbara Degani, al Sindaco di Cortina Andrea Franceschi e l'agronomo ed economista Andrea Segrè (fondatore di Last Minute Market, promotore dal 2010 della campagna europea Un anno contro lo spreco e ideatore della rete SprecoZero, membro del Comitato ristretto di esperti che ha redatto la Carta di Milano), oltre ad altri rappresentanti della realtà turistica ed imprenditoriale ampezzana. 
Si è parlato di spreco alimentare e di stile di vita sostenibile: sprecare, sia cibo che risorse, significa creare danni all'ambiente e all'economia, oltre ad essere diventato in primis un problema etico per tutti, che induce a riflessioni e cambiamenti progressivi nelle nostre scelte e nei nostri comportamenti abituali.
E dobbiamo impegnarci tutti, anche nel nostro piccolo, anzi, cominciando proprio da quel grande buco nero che è lo spreco alimentare domestico, che ha raggiunto cifre esorbitanti, sorpassando di gran lunga qualsiasi altro spreco industriale o agricolo. 
Negli anni '60 si studiava economia domestica a scuola, diventata poi educazione tecnica, e poi finita nel dimenticatoio, perdendoci nei molteplici abbagli consumistici del boom economico di quegli anni.
Sostenibilità vuol dire usare al meglio le risorse a disposizione, anche copiando modelli e strategie altrui che funzionano.
Il cibo che sia un dirittto garantito per tutti, ma nel rispetto del cibo stesso: tutto si crea, ma nulla si distrugge è il motto di partenza del dibattito.
Anche la piccola cittadina montana è molto sensibile a questo richiamo di educazione sostenibile. Nel 2021 sarà, infatti, protagonista mondiale dei Giochi Olimpici di Sci Alpino e vuole arrivare al traguardo come esempio internazionale di sviluppo ecosostenibile futuro e lasciare oltremodo un'eredità significativa post evento al territorio.
A voler testimoniare questo percorso intrapreso con tutti gli enti e le organizzazioni locali (ristrutturazioni ecosostenibili per alberghi e dimore, aumento ingente della mobilità elettrica con più mezzi e ricariche, sviluppo delle energie rinnovabili col recupero dei fasciami boschivi, per esempio), nel marzo scorso ha firmato la carta SprecoZero, che sancisce un decalogo di comportamenti e abitudini per ridurre gli sprechi alimentari.

A conclusione della lunga ed intensa chiacchierata, il nostro piccolo aperitivo a impatto zero.

 

19 ottobre 2015

Monsieur le Couscous Royal


Sono stata a Marrakech pochi anni fa e ne sono rimasta totalmente affascinata e stregata, e spero di riuscire a tornarci presto (e con due valige, vuote).
Alloggiavo al Riad Der Zembrane, una struttura privata in piena Medina, quindi nel centro di colori, profumi e sapori marocchini.
Ho passeggiato in lungo e in largo, cercando di non cadere nelle trappole tentatrici dei venditori del Suk, che se solo ottengono un minimo di attenzione poi non ti mollano più finchè non concludi l'affare: anche se, in tutta sincerità, avrei comperato il mondo!
Ho cercato di racchiudere in una raccolta su Flickr le monde entier marocaine che ho potuto assaggiare in pochi giorni, facendo quasi un'overdose di aromi e persistenze: mi ha dato il benvenuto la Terrasse des Epices  in piena Medina,  breve preludio alle innumerevoli scorribande nel Souk, per poi arrivare al famoso e  caratteristico Marché des Epices, un'immensa oasi colorata e inebriante, passando di notte e di giorno in una delle piazze più chiassose e brulicanti al mondo, Jeema el Fna.
Un pomeriggio intero l'ho dedicato alla visita del magnifico Jardin Majorelle, tanto caro a Yves Saint Laurent e Pierre Berger, che lo scoprirono nel 1966 durante il loro primo viaggio a Marrakech: finirono per acquistarlo nel 1980, salvandolo da un progetto di resort che ne avrebbe decretato la scomparsa, e diventando in seguito la loro residenza principale, e fonte ineguagliabile dell'estro del famoso stilista. Alla sua morte nel 2008, le sue ceneri vennero sparse nel roseto della villa e un piccola colonna romana fu costruita a suo ricordo.
Ma non c'è solo la Medina a Marrakech: oltre le sue mura si è sviluppata una città moderna e attiva, dove non mancano super negozi, locali, ristoranti alla moda e internazionali, come il Bo-Zin, o di cucina più tradizionale, come Al Fassia Aguedal, gestito e condotto da sole donne, zone residenziali di alto livello. E c'è anche la Metro, dove mi sono comprata la mitica couscoussière in alluminio per preparare il couscous nel migliore dei modi.
Una breve sosta al café de la Poste, un tempo albergo coloniale francese di cui mantiene ancora i fasti dopo un sapiente restauro, e poi ancora a visitare luoghi da sogno: Ksar Char Bagh, un incantevole guest palace della catena Relais&Chateaux, e Palais Rhoul,  altra meta da mille e una notte.
Non mi sono lesinata neanche una lunga seduta ristoratrice all'hammam: più di due ore di coccole infinite, sapienti, fragranti che inebriano corpo e spirito.

Il Couscous è un piatto berbero del Maghreb. E' composto da semola di grano duro e le verdure che lo accompagnano variano da paese a paese.
E' la combinazione di due piatti, solitamente cotti nella stessa pentola, la couscoussiera, di forma bombata: nel cestello superiore si cucina la semola a vapore, condita poi con olio o burro, e in quella sottostante si cuociono le verdure e la carne in umido, che rilasceranno aroma e profumi alla semola.
Tradizionalmente è preparato con un solo tipo di carne: nascono così i couscous di agnello, montone, pollo, pesce, merguez (salsicce tipiche locali).

Solitamente in Marocco il couscous viene cotto a vapore tre volte, 15/20 minuti alla volta. Tra una cottura e l'altra si stende la semola su un grande vassoio e con le mani unte di olio si sgrana, poco alla volta. Operazione non facile, perchè il couscous è bollente!
Io preferisco cuocerlo, sempre a vapore, come ho imparato dalle amiche siciliane quando fanno il couscous trapanese: si incoccia la semola la sera prima (200/300 g, non di più, eventualmente si ripete l'operazione), utilizzando una grande padella, versando l'acqua poca poca alla volta, facendola assorbire bene prima di aggiungerne altra. L'incocciatura termina quando la semola raggiunge la grandezza desiderata. In questi video Alida spega come incocciare la semola.


incocciando il couscous
semola cruda a destra e a sinistra quella incocciata

Si trasferisce delicatamente in una bacinella, si copre e si conserva in frigo.
L'indomani si condisce con abbondante olio extravergine di oliva (250 g per mezzo kilo di semola) e sale e si versa nella parte superiore della couscoussiera, a strati con del cipollotto tritato fine. Intorno al bordo si sistemano alcune foglie di alloro e si praticano dei piccoli camini di sfogo del vapore in mezzo alla semola col dorso di un mestolo di legno.

Volendo si può optare anche per quello già precotto, sicuramente più veloce, scegliendo magari una semola più artigianale, biologica e integrale, come quello di Timilia.

Le verdure usate più comunemente sono zucchine, carote e melanzane; ma si possono usare anche zucca, patate e cavoli.


couscous royal



Per 6/8 persone:

mezzo kilo di semola per couscous *
3 cipollotti
2 gambi di sedano con le foglie
4/5 zucchine
4/5 carote
2 melanzane lunghe
250 g di ceci cotti
mezza lattina di salsa di pomodoro
500 g di petto di pollo
500 g di salsicce piccole (non di maiale)
500 g di carne di manzo o agnello/montone per spezzatino **
foglie di alloro
250 g di olio extravergine di oliva
sale/pepe

spezie per il brodo: chiodi di garofano - cannella in stecca - bacche di pepe nero e rosso
spezie per la carne e le verdure: ras el hanout - paprika - curcuma e zafferano

* per me semola integrale di grano duro per couscous da incocciare molita a pietra Molini del Ponte

** oppure macinato per fare polpette


couscous royal



Nella parte inferiore della couscoussiera mettere il sedano, i gambi dei cipollotti, un pezzetto di cannella, un paio di chiodi di garofano, qualche bacca di pepe nero e rosso e 3 litri di acqua e portare a bollore.
Tuffare le carote (pelate), le zucchine e le melanzane (pelate) tagliate a pezzettoni uguali, circa 3 cm. di lunghezza. Far cuocere 10/15 minuti poi scolare e mettere da parte.
Sistemare la parte superiore col couscous preparato e condito come spiegato sopra, coprire col coperchio e lasciare cuocere circa un paio di ore, assaggiare se occorre qualche minuto in più. Controllare sempre il livello del brodo sottostante, all'occorrenza aggiungere ancora qualche mestolo di acqua.
Nel frattempo preparare la carne: soffriggere leggermente un cipollotto tritato fine, aggiungere la carne di spezzatino, rosolare bene, unire le spezie, tranne lo zafferano: la quantità è molto personale, meglio dosare gradualmente, mezzo cucchiaino alla volta. Far tostare un minuto anche le spezie e poi allungare con la salsa di pomodoro e quando anche questa è calda aggiungere qualche mestolo del brodo di cottura del couscous filtrato e portare a cottura, a fuoco basso e con coperchio. Utilizzando la pentola a pressione i tempi si accorciano.
In una padella rosolare il petto di pollo tagliato a pezzi con un filo di olio, salare e pepare e portare a quasi cottura: mettere da parte. Fare la stesa cosa con le salsicce.
Quando la carne di manzo è quasi pronta, aggiungere anche il pollo, le salsicce, le verdure tenute da parte, i ceci e lo zafferano, e lasciare che lo stufato si amalgami nei sapori, cuocendo ancora 10/15 minuti.
Sistemare il couscous a piramide in un piatto da portata, aggiungere parte dello stufato di carne e verdure alla base, e servire con lo stufato rimanente e il sugo in una ciotola a parte.

Si può servire nel piatto inferiore dei tajiine, e portare in tavola decorato come nella foto.


couscous royal


Tajine in francese richiede l'articolo le, pertanto è un nome maschile, sia che sia riferito alla pentola che alla pietanza preparata. Quelle per cucinare sul fuoco sono di terracotta e non decorate, mentre spesso si preferiscono quelle smaltate e decorate per servire in tavola le pietanze, e non si possono usare per cuocere.


Questa ricetta partecipa all'Abbecedario Culinario Mondiale 
per la tappa in Marocco ospitata da Patrizia. 

16 ottobre 2015

Pizza di scarole per il World Bread Day - Escarole Pizza


Oggi è la Giornata Mondiale del Pane, il World Bread Day, e come da tradizione anche quest'anno Zorra ci ha invitato a festeggiarlo insieme a lei, celebrando la decima edizione di questo evento.

Per questa giornata così fragrante in tutto il web ho scelto una ricetta tipica napoletana, dove la tradizione vuole che venga preparata durante le feste natalizie, e più precisamente il 24 e il 31 dicembre, quale pasto leggero in attesa dei grandi cenoni festivi.
Per questa focaccia farcita si usa la scarola liscia, unita poi ad acciughe, uvetta, pinoli, olive nere di Gaeta e capperi. Come impasto di base si usa una pasta di pizza semplice, versioni più anticonformiste e personali accettano anche la pasta brisée.
Mia cugina Emanuela a Salerno la prepara con pasta di pane o brisée, e per il ripieno stufa la scarola in teglia (senza lessarla in acqua) con aglio, olio e peperoncino, aggiungendo poi a metà cottura le olive nere e verdi al forno denocciolate, omettendo acciughe e uvetta.
Una ricetta che varierà di famiglia in famiglia, seppur di poco, e che ognuno proclamerà coma la vera, unica, originale.


pizza di scarole



Per una teglia di 30 cm. di diametro:

pasta:
400 g di farina 0
100 g di semola rimacinata Senatore Cappelli
270/300 g di acqua
8 g di levito di birra
20 g di olio extravergine di oliva
un cucchiaino scarso di malto d'orzo
8 g di sale

ripieno:
1 kg. di insalata scarola
olio extravergine di oliva
2 spicchi di aglio
2 cucchiai di capperi, dissalati
4 o 5 acciughe sott'olio
2 cucchiai di pinoli
3 cucchiai di uvetta morbida *
una manciata di olive nere di Gaeta, denocciolate
sale/pepe

* conservo l'uvetta in un barattolo di vetro che rabbocco con la grappa,
in questo modo è sempre pronta ammollata per l'uso



pizza di scarole



Sciogliere il lievito nell'acqua a temperatura ambiente.
In una ciotola mescolare le farine fra loro, fare la fontana e versarci l'acqua col lievito, il malto e l'olio. Prendere un po' di farina alla volta ed iniziare ad impastare. Quando quasi tutta la farina è stata aggiunta, unire anche il sale e trasferire sul piano di lavoro. Lavorare finchè l'impasto è ben liscio ed omogeneo. Formare una palla e trasferire in una ciotola leggermente unta, coprire e lasciare lievitare al raddoppio in un luogo caldo e riparato.
Nel frattempo pulire e lavare la scarola, eliminando le foglie esterne rovinate, e lessarla 5 minuti in acqua a bollore leggermente salata, poi scolare.
In una padella soffriggere appena l'aglio spremuto con l'apposito attrezzo, aggiungere le acciughe e farle sciogliere, unire le olive e i capperi, i pinoli  (tostati pochi minuti in un padellino) e l'uvetta, infine anche la scarola, strizzata e tagliuzzata grossolanamente a coltello (se piace si possono tritare grossolanamente a coltello anche uvetta, capperi e olive).
Far insaporire e cuocere a fiamma media e semicoperta finchè la verdura non rilascerà più acqua ma sarà comunque morbida e si rivedrà l'olio soffriggere.
Aggiustare di sale e pepe, spegnere e far raffreddare.
Dividere l'impasto lievitato a metà, tenendo una parte leggermente più grande e stendere col matterello a formare due dischi.
Versare un giro di olio al centro della teglia, foderare con il disco più grande, tenendo la pasta alta sul bordo.
Distribuire il ripieno uniformemente e coprire col secondo disco di pasta, sigillando bene il bordo, aiutandosi anche con i rebbi di una forchetta. Lasciare lievitare coperto a campana almeno un'ora, o fino al raddoppio.
Cuocere in forno caldo a 190/200° per 30 minuti circa.
Delicatamente sformare e lasciare intiepidire su una griglia prima di tagliarla, ma è buona anche fredda.


Escarole Pizza


Today is World Bread Day and as usual Zorra invited us to celebrate with her this fragrant event.

I chose a typical Neapolitan recipe: this sort of stuffed focaccia, but they call it pizza anyway, is prepared during Christmas, namely on 24th and 31st December as a light meal waiting for the huge holiday dinners.
The filling is made with escarole, combined with anchovies, raisins, pine nuts, black olives from Gaeta and capers. The dough is the simplest pizza dough, though some unconventional and personal versions also accept pastry crust.
A recipe that can vary from family to family, just for very tiny details, and that everyone will proclaim as the unique and original one.



pizza di scarole



For a 30 cm. diameter pan:

dough:
400 g all-purpose flour
100 g semolina flour
270/300 g water
8 g fresh yeast
20 g extra virgin olive oil
a teaspoon of barley malt
8 g salt

filling:
1 kg. escarole
extra virgin olive oil
2 cloves garlic
2 tablespoons capers, desalted
4 or 5 anchovies in oil
2 tablespoons pine nuts
3 tablespoons softened raisins *
a handful of black Gaeta olives, pitted
salt and pepper

* I store raisins in a glass jar with brandy, so they are always ready to use


Dissolve yeast in water at room temperature.
In a bowl mix the flours, make a well and pour in the water with yeast, malt and oil. Take a bit of flour at a time and begin to knead. When almost all the flour has been added, add salt and transfer on the working surface. Knead until the dough is smooth and homogeneous. Shape into a ball, transfer to a lightly greased bowl, cover and let rise to double in a warm place.
In the meantime, prepare  the escarole: remove the outer leaves, wash and then boil 5 minutes in lightly salted water, then drain and squeeze. When cooled  coarsely chop it with a knife.
In a pan fry squeezed garlic, add the anchovies and let them dissolve, add olives and capers, pine nuts (previously toasted a few minutes in a pan) and raisins, and finally the escarole (if you like you can coarsely chop also raisins, capers and olives).
Cook over medium heat until the vegetables won't release any water but still soft.
Season with salt and pepper, turn off and let cool.
Halve the leavened dough, one part slightly larger and roll out with a rolling pin into two discs.
Pour a little oil in the center of the pan, line with the larger disk, keeping the dough high on the side.
Spread the filling evenly and cover with the second disk of dough, sealing well the edge, even helping with a fork. Let it rise covered with a larger  bowl at least one hour, or until doubled.
Bake in preheated oven at 190/200° for 30 minutes.
Carefully unmold and let cool on a rack before slicing.

28 settembre 2015

World Bread Day 2015 - 10th edition - Giornata Mondiale del Pane


Pronti per il X° World Bread Day?



Il 16 ottobre si celebra di nuovo World Bread Day! Dal 2006 ogni anno centinaia di blogger da tutto il mondo preparano un pane per questo giorno speciale. Così Zorra ci invita a farlo di nuovo, estendendo l'invito anche a chi vuole partecipare per la prima volta!

Alcuni anni fa, l'Unione Internazionale dei Panettieri e dei Pasticceri (IUB) ha dichiarato il 16 ottobre come giornata mondiale del pane. Nel 2006 Zorra l'ha adottata come evento per i foodblogger. Questo evento non è legato in alcun modo a questa Unione Internazionale, che in realtà sembra non preoccuparsi più di onorare questa giornata. Ma noi lo facciamo ancora! Ogni anno sempre più blogger partecipano al World Bread Day, speriamo che la grande affluenza si ripeta ancora.

L'idea del World Bread Day è proprio quella di onorare il nostro pane quotidiano con un nuovo pane sui nostri blog, a dimostrazione che fare il pane è facile e divertente.

Avete già idea di cosa preparare in questo giorno speciale? Potete impastare il vostro pane preferito, sceglierne uno nuovo oppure dedicarsi a quello che si voleva fare da tempo e non si è mai fatto.
Ancora nessuna idea? Dando un'occhiata agli archivi delle passate edizioni si può trovare la giusta ispirazione!

Zorra non vede l'ora di condividere anche quest'anno un altro cesto enorme di pani da tutto il mondo!

Potete seguire il World Bread Day anche su Facebook e Pinterest e utilizzare #wbd2015 sui social.

Come partecipare:

Si prega di leggere e seguire attentamente le istruzioni riportate di seguito.
E' obbligatorio compilare il modulo pubblicato da Zorra e linkare il suo annuncio nel proprio post, se solo manca una di queste voci la ricetta non apparirà nella raccolta finale. Grazie per la vostra comprensione.

  • Cuocere un pane, scattare una foto e pubblicare la ricetta Venerdì 16 ottobre 2015. Non prima e non dopo questa data e solo una ricetta per blog, per favore.
  • La ricetta deve essere un nuovo post appositamente scritto per questo evento e non può partecipare ad altri eventi/contest.
  • Compilare il modulo da Zorra (sarà online il 14 ottobre) e la ricetta verrà poi aggiunta nella raccolta finale.
  • I moduli di adesione saranno accettati solo fino al 17 ottobre.
  • Il proprio post può essere scritto in qualsiasi lingua, purché nel blog sia indicato un traduttore (per esempio Google Translate).
  •  
La raccolta finale sarà pubblicata poi da Zorra a fine Ottobre.
Per qualsiasi domanda o suggerimento non esitate a contattare Zorra scrivendo una mail a kochtopf(at)gmail.com.





Potete voi stessi pubblicizzare l'evento sul vostro blog incollando il logo dell'annuncio. 
Per il logo aggiungete il codice seguente: 


27 settembre 2015

Dulce de higos - Fichi caramellati ecuadoriani


original English recipe here


In queste ultime tre settimane l'Abbecedario Culinario Mondiale ha visitato l'Ecuador, con Alessandra come preziosa capo guida. Ancora poche ore di soggiorno ed è già tempo di chiudere le valigie e ripartire per una nuova tappa, che so già assolata e speziata come piace a me.
C'è un reality che sta appassionando gli amanti dei viaggi che si chiama Pechino Express che dal lontano Oriente quest'anno si è spostato in America Latina. Ed è partito, circa un mese fa, proprio dall'Ecuador: i concorrenti/viaggiatori hanno attraversato la regione partendo dalla capitale Quito e arrivando fino all’Oceano Pacifico, dopo aver visto la foresta equatoriale, le Ande e la Sierra.
Purtroppo non sono riuscita a seguire la trasmissione, ma potendo usufruire delle puntate registrate, riuscirò a godere dei paesaggi ecuadoregni nei giorni a venire, ed apprezzarne la loro selvaggia bellezza standomene comodamente sprofondata nel divano: la massima resa col minimo sforzo :-)
Per trovare una ricetta di questo paese ho seguito il consiglio di Alessandra e mi sono fatta un lungo giro goloso nel blog di Lalyta, scegliendone poi una tra la sezione dei dolci della festa.
Ed ho approfittato degli ultimi fichi che ci ha regalato il nostro albero generoso, quest'anno in super produzione.


dulce de higos



Così ci racconta Lalyta riguardo questa ricetta:

Dulce de higos sono fichi sciroppati speziati realizzati cuocendo dei fichi maturi, ma ancora sod,i in uno sciroppo di panela o zucchero di canna marrone e spezie.
I dolci tradizionali del Sud America sono abbastanza semplici, soprattutto perché il pasto principale solitamente è molto abbondante. I dessert non sono necessariamente una componente prevista alla fine di ogni pasto e quando presenti sono sempre considerati come un evento speciale. Un dolce tipico in Ecuador potrebbe essere un frutto perfettamente maturo, come ad esempio una fetta di papaia servita con succo di lime o un pezzo di babaco servito col miele. O ancora un rinfrescante helado de paila (sorbetto di frutta), o una torta soffice di pan di spagna, o croccanti cocadas (dolcetti a base di cocco grattugiato, uova e zucchero) o un fico sciroppato servito con un pezzo di formaggio.
Succede anche frequentemente che si mangino dolci in quantità maggiore con il caffè del pomeriggio, piuttosto che come dessert: a volte, dopo un pasto abbondante, si desidera solo qualcosa di dolce che aggiunga quel tocco finale e non lasci una sensazione di troppo.
I dulce de higos, chiamati anche higos pasados, sono un dolce tipico delle famiglie ecuadoregne, di ogni ceto ed estrazione, da quelle più umili e contadine alle più abbienti e facoltose.
La caramellizzazione dei fichi dura tre giorni: per un giorno intero si lasciano immersi in acqua, dopo vengono bolliti, lasciati macerare un altro giorno, ed infine scolati e bolliti nello sciroppo di zucchero e spezie. E' molto importante lasciare i fichi in ammollo per mantenerli teneri.
Le spezie sono facoltative, ma sicuramente danno un aroma più particolare, non abbiate timore nell'esserne generosi.
Questi i fichi sono molto dolci, a piacere si può ridurre la quantità di zucchero utilizzato.
In Ecuador i dulce de higos sono serviti con una generosa fetta di formaggio fresco locale chiamato quesillo, ma si accostano bene anche con altri tipi di formaggi.


dulce de higos



Ingredienti:

20 fichi maturi ma sodi
un pizzico di bicarbonato
700/800 g di panela o zucchero di canna marrone
bastoncini di cannella, chiodi di garofano o altre spezie
acqua



Fare un taglio trasversale sul lato sottile di ogni fico.
Mettere i fichi in una terrina, coprirli con acqua e lasciare in ammollo per 24 ore.
Sciacquare i fichi, metterli in una casseruola e coprire con acqua, circa 2 litri.
Aggiungere il bicarbonato e portare l'acqua a ebollizione a fuoco medio, far cuocere per circa 15/20 minuti o fino a quando i fichi sono morbidi.
Togliere dal fuoco e lasciare i fichi in ammollo nell'acqua di cottura per altre 24 ore.
Scolare e premere delicatamente ogni fico per eliminare quanta più acqua possibile.
Mettere lo zucchero e le spezie in una grande casseruola, coprire con circa 1 litro e mezzo di acqua e far cuocere a fuoco basso fino a quando lo zucchero risulta completamente sciolto.
Aggiungere i fichi e lasciare cuocere a fuoco basso finché lo sciroppo comincia ad addensarsi, almeno un paio di ore, mescolando di tanto in tanto.
Servire sia caldi che freddi con formaggi.

Chiedo aiuto ai più esperti: per precauzione ho aggiunto anche il succo di mezzo limone nella preparazione dello sciroppo, ma inevitabilmente nel raffreddarsi lo zucchero si cristallizza, seccando quindi sia il liquido sciropposo che la parte esterna dei fichi. Riscaldandoli poi leggermente sul fuoco, si riammorbidisce il tutto. Consigli per mantenere la giusta consistenza?

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